Ministro della Giustizia, Andrea Orlando: Modello 231 fondamentale

Intervista al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando sul tema del Modello 231 e Responsabilità Amministrativa degli Enti.

Ministro, da quando è diventato titolare della Giustizia c’è stata una particolare e positiva attenzione verso il tema della responsabilità amministrativa degli enti. Con il Ministro Pier Carlo Padoan a febbraio ha costituito una Commissione di studio per la modifica del decreto legislativo 231/2001, con l’obiettivo di contrastare e prevenire più efficacemente la criminalità economica. Può darci qualche informazione sugli eventuali criteri di orientamento forniti ai membri della Commissione? E sui tempi previsti per il rilascio della proposta di riforma? 

Si è ritenuto, attraverso la creazione di una Commissione congiunta coordinata dai Capi di Gabinetto dei due ministeri, di esaminare numerose sollecitazioni provenienti dagli esperti del settore volte ad aggiornare il sistema normativo del decreto 231/2001.

Si è preso atto della opinione prevalente secondo la quale il decreto 231 costituisce sicuramente un valido testo normativo, ma al contempo si è valutato un intervento modificativo che rafforzi il sistema di prevenzione degli illeciti penali commessi nell’ambito di attività societarie, rendendo effettivi i presidi organizzativi interni e abbandonando metodiche e prassi meramente formali nell’approntamento di modelli organizzativi.

Al contempo si è valutata la creazione di strumenti e meccanismi interni alle società che favoriscano la emersione dell’illecito penale, creando una sinergia proficua con l’autorità giudiziaria procedente ai fini della repressione dello stesso. Inoltre si è preso atto dell’esigenza che le società che adottino e applichino rigorosamente modelli organizzativi idonei possano operare sul mercato vedendo ridotta al minimo la esposizione a sanzioni amministrative legate a comportamenti di rilievo penale posti in essere da organi apicali ovvero da dipendenti.

In altri termini, occorre che la società che ha adottato un modello ritenuto idoneo sulla base di parametri certi, che poi lo applichi pedissequamente possa farvi ragionevole affidamento. Se poi, alla prova dei fatti, il modello non si riveli perfetto, tale situazione non può andare a svantaggio della società rivelatasi comunque diligente.

In altri ordinamenti lo strumento della “premialità” per le aziende che vogliono far emergere fatti illeciti verificatisi internamente è di larga e proficua applicazione. Si tratta di aspetto che sarà oggetto di valutazione da parte della Commissione?


La Commissione sta approfondendo questo tema estremamente delicato. Sicuramente la creazione di meccanismi di premialità può rendere maggiormente efficace la repressione degli illeciti penali, in quanto le imprese, di fronte alla prospettiva di subire pesanti sanzioni, avrebbero tutto l’interesse a denunciare reati commessi al loro interno, così da contenere significativamente le conseguenze cui potrebbero incorrere (oltre a rimuovere soggetti non più ritenuti di fiducia).

D’altro canto, già esistono nel nostro ordinamento meccanismi premiali che permettono a soggetti responsabili di reati anche gravi di potere godere di consistenti benefici, ove forniscano alla autorità giudiziaria informazioni utili per perseguire illeciti di notevole allarme sociale.

Proprio in ragione della delicatezza del tema, la Commissione sta valutando con la necessaria attenzione il sistema di incentivi per le imprese che denuncino comportamenti di rilievo penale, ragionando sui tempi entro il quale la emersione debba avvenire, quali accertamenti debba compiere l’autorità giudiziaria per riscontrare le segnalazioni e quali vantaggi possa conseguire la società.

AODV231 ha elaborato un progetto di riforma del D.Lgs. 231/2001 in cui si recepiscono le indicazioni maturate in seno alla dottrina e alla giurisprudenza, nonché quelle avanzate da diversi professionisti del settore. Ritiene possibile che la Commissione, durante i suoi lavori, possa tener conto anche di tale proposta?

Come accennato, la Commissione è stata nominata per valutare istanze e sollecitazioni provenienti dalla dottrina, dalla giurisprudenza e dagli esperti del settore volte a intervenire su aspetti ritenuti problematici, assicurando una maggiore certezza nella interpretazione del dato normativo. Proprio per potere dare il giusto peso alle riflessioni provenienti da diversi ambiti professionali, cercando di giungere a una sintesi ragionata che pervenga a un punto di equilibrio, nella Commissione sono presenti esperti della materia provenienti dal mondo dell´Accademia, dell´Avvocatura e della Magistratura. Pertanto, certamente la proposta della AODV231 costituisce un utile spunto di riflessione.

In questo senso, come accennato in precedenza, la Commissione sta prestando particolare attenzione proprio ai temi su cui si è incentrato il lavoro della AODV231, con particolare riguardo alla “centralità” del modello di organizzazione quale strumento per prevenire i reati; inoltre, conformemente alla elaborazione della menzionata proposta, sta lavorando anche sul superamento di forme di presunzioni di colpevolezza per l’ente, ritenute dalla dottrina poco conformi al principio dettato dall´art. 27 della Carta Costituzionale; sta ragionando su una modifica della disciplina dell’organismo di vigilanza che assicuri una effettiva indipendenza dello stesso dalla governance dell’ente e che al contempo, però, sia ben addentro alle dinamiche aziendali così da avere piena contezza delle caratteristiche organizzative e delle criticità tali da esporre l’ente al pericolo derivante da reato.

In un’intervista rilasciata lo scorso ottobre, Carmine Pirozzoli – Direttore dell´Ufficio “Affari legislativi, internazionali e grazie” – ha anticipato ad AODV231 l´istituzione di un tavolo tecnico promosso dal Ministero della Giustizia per raccordare le linee guida delle associazioni in materia “231”. Può fornirci qualche aggiornamento su quest’attività?

Il tavolo tecnico in questione è stato istituito, presso la Direzione Generale della Giustizia Penale, allo scopo di rendere più efficiente il procedimento di valutazione dei codici di comportamento presentati dalle associazioni rappresentative degli enti. Il Ministero della Giustizia intende assumere, quindi, già nelle attuali condizioni normative, un atteggiamento proattivo al fine di consentire alle aziende di creare modelli organizzativi realmente efficaci nella prevenzione degli illeciti.

Il suo Dicastero ha recentemente messo a punto uno schema di decreto legislativo in materia di abusi di mercato, che modifica il Testo unico della Finanza per recepire la normativa comunitaria del 2014 e le indicazioni della Corte europea dei diritti dell´uomo circa l´opportunità di rivedere il doppio binario sanzionatorio attualmente in vigore. Può illustrarci le principali direttrici della proposta legislativa?

Il sistema sanzionatorio italiano in tema di abusi e manipolazione del mercato finanziario è particolarmente avanzato, al punto che si è ritenuto che non vi fosse necessità di adottare specifiche norme di recepimento né di adeguamento alla direttiva MAR (2014/57) né al regolamento MIFID (596/14), essendo il nostro ordinamento già pienamente conforme al diritto europeo, grazie al decreto legislativo 58/98, che ha anticipato di ben 16 anni le disposizioni dell’UE.

Un altro tema centrale riguarda le attività di lobbying, per le quali manca nel nostro Paese una regolamentazione puntuale. Nei giorni scorsi si è avuta notizia della presentazione alla Camera di un disegno di legge in materia. Ritiene che i tempi siano oggi finalmente maturi per l’adozione di una norma sulla rappresentanza di interessi?

Occorre partire dal presupposto che nel nostro sistema democratico, il Parlamento riveste un ruolo centrale. Deve infatti elaborare, all´esito di riflessioni ragionate e ponderate, testi normativi che incidano efficacemente sulle questioni che interessano il Paese.

È evidente che il Parlamento si deve fare portatore delle esigenze che la cittadinanza esprime e deve ben comprendere le esigenze medesime in tutte le sfaccettature. In questo ambito, può fornire un contributo utile la attività di lobbying, vale a dire la interlocuzione tra associazioni, enti, persone imprese, da una parte, e parlamentari, dall’altra, nel corso della quale vengano forniti contributi, suggerimenti o rivolte istanze.

Tutto questo può costituire senza dubbio una forma di arricchimento per l’attività legislativa poiché, attraverso un contatto diretto tra i membri del Parlamento e i lobbisti, si riescono a veicolare meglio le esigenze di una parte più o meno estesa della popolazione.

È altrettanto evidente, però, che tale contributo deve essere assolutamente trasparente. Non deve mai adombrarsi il dubbio che forme privilegiate di interlocuzioni con i membri del Parlamento possano in qualche misura condizionare i lavori dello stesso.

Per questo il disegno di legge presentato può costituire una buona base di partenza su cui lavorare. Esso infatti mira a far emergere le relazioni tra lobbisti e parlamentari, attraverso la creazione di registri e una rendicontazione semestrale che consenta di verificare le attività svolte.

Tale sistema può quindi garantire che la elaborazione legislativa possa eventualmente beneficiare di tale interlocuzione, purché essa sia formalizzata e adeguatamente pubblicizzata all’esterno.

Molti dei processi “231” sono ancora legati alle contestazioni di reati contro la P.A. e il suo patrimonio: in primis la corruzione, che potrebbe esser contrastata anche con l’ausilio delle segnalazioni dei dipendenti. Il disegno di legge sul whistleblowing è ora all’esame della Commissione Affari Costituzionali del Senato. Qual è la sua opinione in merito a questo strumento? Ritiene che la regolamentazione proposta assicuri un’efficace tutela dei segnalanti?

La lotta ai fenomeni di corruzione e di altri reati contro la pubblica amministrazione può e deve beneficiare di iniziative provenienti da dipendenti sia pubblici che privati. Spesso la emersione di tali reati si verifica occasionalmente allorquando si indaga per altro ovvero deriva da denunce presentate dopo che il fatto corruttivo è stato commesso.

Si pensi al caso di una segnalazione di un disservizio della pubblica amministrazione il cui accertamento faccia emergere la perpetrazione di un reato contro la pubblica amministrazione. In questo caso, l’indagine viene fatta “a ritroso” e non sempre consente di accertare con chiarezza i contorni del reato.

Al contrario, la segnalazione fatta dal dipendente di una società che abbia sentore “in diretta” di una iniziativa che possa sfociare in un reato può certamente comportare un intervento tempestivo della Autorità Giudiziaria con tutti i vantaggi in termini di accertamento puntuale del fatto. Il disegno di legge rappresenta un buon testo in grado di assicurare la tutela del segnalante, garantendo la sua riservatezza, il divieto di atti ritorsivi o ad essi assimilati e strumenti di repressione avverso tali comportamenti.

Restando in tema di corruzione, in Commissione Giustizia del Senato si sta discutendo del disegno di legge sulla prescrizione, che innalza della metà i termini per le principali fattispecie di corruzione. L’opera di revisione dei reati contro la Pubblica Amministrazione può considerarsi conclusa con questo provvedimento o vi sono ulteriori iniziative in cantiere?

L’attenzione del Governo sul tema dei reati contro la pubblica amministrazione è costante, come dimostrato, da ultimo, dal tenore dello stesso disegno di legge da lei citato. Al momento non è previsto che nuovi interventi normativi vedano la luce in tempi brevi.

Tuttavia manteniamo elevato il livello di guardia anche per registrare la reazione del sistema alle ultime novità e al fine di predisporre eventuali adeguamenti laddove se ne registrasse la necessità.

Prosegue infine l’iter del disegno di legge in materia di reati agroalimentari, anche questo all’esame della Commissione Giustizia del Senato. Il provvedimento raccoglie i suggerimenti del gruppo di studio presso il Ministero della Giustizia e, oltre ad aggiungere nuovi reati-presupposto “231”, mira ad inserire nel Decreto un articolo (6-bis) per disciplinare i modelli organizzativi dell’ente «qualificato come impresa alimentare». Da dove nasce quest’esigenza? E in che modo il testo sarà coordinato con i progetti di revisione della normativa “231”?

Come è noto, il disegno di legge sui reati agroalimentari è il frutto di una elaborazione che, partendo dalla ricognizione della normativa vigente, ha inteso semplificare le disposizioni penali vigenti armonizzandole con quelle extrapenali per poi effettuare un adeguamento del sistema sanzionatorio in modo da tutelare valori e beni giuridici nuovi.

In questa chiave, una direttrice importante che ha orientato i lavori della commissione ministeriale è stata quella di potenziare i meccanismi preventivi, sia sotto il profilo squisitamente sanzionatorio (attraverso, ad esempio, un intervento sulla struttura dei reati contro la salute anticipando la soglia di punibilità al momento dell’insorgenza del rischio per la salute stessa), sia andando a incidere sull’organizzazione delle società commerciali.

In questo senso, deve essere letto l’intervento sul Decreto 231/01. L’esperienza ha infatti permesso di constatare che buona parte delle frodi alimentari e delle condotte potenzialmente lesive della salute si generano in ambito societario. È parsa quindi opportuna e necessaria non solo la estensione del catalogo dei reati presupposto degli illeciti amministrativi, ma una migliore specificazione delle caratteristiche del modello organizzativo delle “imprese alimentari”.

Infatti, la tutela della salute da frodi alimentari impone il rispetto degli standard previsti in tutte le fasi di lavorazione, distribuzione, commercializzazione, verifica e controllo dei prodotti alimentari. È quindi fondamentale che le società si dotino di modelli che consentano il controllo puntuale, da parte di professionisti competenti, del rispetto di questi standard.

Tale impianto normativo è assolutamente coerente con i lavori della commissione sulla riforma del D.Lgs. 231/01, poiché le disposizioni di cui all´art 6-bis costituiscono mera specificazione, imposta dalle peculiarità del fenomeno, che deve sempre informarsi ai principi generali in materia di modelli di organizzazione anche alla luce delle rivisitazioni in corso di elaborazione.

Fonte: AODV 231